Il nostro modo di fare scuola

12 novembre 2006

Recensione primo cd! Fragile degli Yes

Bene dopo la prima rensione di un film (cavolo è venuto lunghissimo il post!) propongo la prima recensione di un cd, si tratta di un gruppo anni '70 dell'era del progressive rock, io vado pazzo per questo genere di musica, non so voi, premetto col dire che non è tutta farina del mio sacco, infatti ho fatto una ricerca su internet prima ma non è neanche un semplice copia e incolla! Anche nel caso della musica ricerco cose rare (anche se gli Yes hanno avuto parecchia fama all'epoca), quindi se volete le recensioni di laura pausini jovanotti o leone dilernia dovete chiedere e specificherò il vostro nome dato che non voglio aver a che fare con certi "artisti" :P


L'album si apre subito con un brano manifesto: una nota di pianoforte in crescendo introduce un delicato arpeggio di chitarra acustica, e parte "Roundabout"; ritmo e velocità trascinanti sono il terreno ideale per il potente basso di Chris Squire, il cui volume è così alto da oscurare perfino la chitarra. Ma non finisce qui: il brano è ricchissimo di variazioni: stacchi più duri (con un Wakeman in inedita versione rockeggiante), cori perfetti, momenti rallentati di grande effetto. La classe e le capacità tecniche dei cinque musicisti contribuiscono a materializzare otto minuti abbondanti di meraviglia.

Segue "Cans And Brahms"; si tratta di un estratto dalla quarta sinfonia di Brahms, interamente eseguito da Wakeman: rilettura gradevole e niente affatto "pesante" all'ascolto, mette in luce le radici classiche del tastierista. "We Have Heaven" è breve (un minuto e mezzo) e intensa; qui la voce di Jon Anderson può liberare tutta la sua bellezza e sperimentare interessanti intrecci fra parti sovraincise e vocalizzi angelici.
Ma le atmosfere paradisiache vengono bruscamente interrotte dal rumore del temporale che fa da apertura a "South Side Of The Sky", pezzo molto vicino all'hard-rock, arricchito da una lunga parte rallentata di grande emotività; ancora una volta i cori, scritti ed eseguiti benissimo, e le trovate vocali di Anderson sono un valore aggiunto. Poi, raffiche di vento spazzano via il temporale e con esso il fragore del brano, chiudendo il primo lato del disco.

La seconda facciata è introdotta dai trenta secondi di "Five Per Cent For Nothing"; un momento di divertimento per i musicisti che in questo breve preambolo si sbizzarriscono su un canovaccio scritto da Bill Bruford. Quindi parte il giro raffinato di "Long Distance Runaround", che sembra estratto da una composizione per clavicembalo del Settecento; altro classico del repertorio della band, si tratta di una canzone (perché, in definitiva, si tratta sempre di composizioni in forma-canzone) più semplice e particolarmente elegante nei fraseggi: fresca e leggera. Ad essa si lega l'appendice "The Fish", tutta giocata sull'impasto fra effetti sonori e cori.

Con "Mood For A Day", invece, sale sugli scudi Steve Howe; il chitarrista esegue in solitario un suo studio per chitarra acustica, e abbaglia per l'armoniosità della composizione e la bravura nell'esecuzione (molto di più di quanto non abbia fatto in "The Clap"). E' il degno preludio a un altro capolavoro: "Heart Of The Sunrise", dieci minuti di rara intensità e trasporto emotivo. Bruford percuote le batterie con incredibile espressività (e sì, perché si può suonare in modo unico e inconfondibile anche la batteria...). Il brano comincia con un gran caos strumentale, per poi lasciare spazio a una cascata di note provenienti dal mellotron di Wakeman, sorrette dal drumming straordinariamente fantasioso ed efficace di Bruford; poi tutto torna a esplodere con i musicisti che si inseguono in un vortice di ardite parti strumentali. Torna la quiete quando compare la voce di Anderson, ma il brano mantiene sempre una forte tensione, solo momentaneamente sopita, che si libera nella grandiosità del finale. Forse è il capolavoro di "Fragile".

Il disco termina lasciando una profondo senso di appagamento. Con "Fragile", inoltre, gli Yes cominciano la simbiotica collaborazione con il pittore Roger Dean; i testi sognanti e immaginifici di Anderson si sposeranno perfettamente con le rappresentazioni degli ambienti metafisici creati da Dean. Da qui a venire, questi firmerà praticamente tutte le copertine dei dischi del gruppo, costruendo così insieme quei "mondi impossibili" che ancora oggi rivivono nelle loro opere.

1 Comments:

  • ma pure tu gli album di cui fai la recensione ma ti rendi conto..... e ti credo che non viene nessuno sul blog, ma stiamo scherzando e che cavolo fai la recensione di un album + bello e + ascoltato tipo "Voice of wildness" dei korpiklaani.

    Tutto io ti devo dire

    By Anonymous Anonimo, at 19 gennaio, 2007 11:16  

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